Contributo
Nazionale in Iraq al 8/8/11
L'Italia ha autorizzato la partecipazione di circa 70 militari
delle varie forze armate.
In particolare, il contributo italiano alla missione è costituito da:
• un generale di divisione, Deputy Commander della missione. Attualmente l'incarico è ricoperto dal Generale di Divisione
Giovanni Armentani;
• un ufficiale superiore, advisor del Ministro della Difesa iracheno e con
funzioni di collegamento con l'HQ NTM-I;
• un ufficiale superiore, consigliere del vertice militare universitario
iracheno del National Defence College;
• un ufficiale superiore dell'Arma dei Carabinieri, a capo della
"Gendarmerie Training Division";
• un ufficiale superiore dell'Arma dei Carabinieri, a capo della
"Gendarmerie Training Unit";
• un team di circa 50 carabinieri che assicura l'addestramento dell'Iraqi
Federal Police e, piu’ recentemente, dell’Oil Police;
• unità dell'Arma dei Carabinieri provvedono all'addestramento delle forze
di polizia irachene a Camp Dublin, area addestrativa della NTM-I nei pressi
dell'aeroporto internazionale di Baghdad;
• L’Italia assicura anche l’alimentazione della posizione di capo ufficio
Public Affairs e la presenza di un ufficiale superiore nell’ambito della
funzione Piani e Sviluppo dello stato maggiore di NTM-I.
Al
di fuori della missione, ma sempre nell'ambito dei supporti forniti dalle Forze
Armate italiane, un ufficiale superiore della Marina Militare svolge la
funzione di advisor del comandante delle Forze Navali
irachene.
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www.resistenze.org -
osservatorio - italia - politica e società - 17-03-07
da: www.unita.it
Il
governo Prodi con
il ddl finanzierà con tre milioni di euro i "contractors" in Iraq
Un interessante articolo dell'Unità rivela un
inquietante dettaglio del decreto di rifinanziamento delle
missioni militari all'estero che dovrà essere approvato dal Senato nei prossimi
giorni.
Iraq, nel ddl tre
milioni di euro per i "contractors"
Maura Gualco
16.03.07
Tre milioni e 498 mila euro - circa sette miliardi del
vecchio conio - verranno spesi dal governo italiano
per stipulare in Iraq, accordi con i contractors, alias body guard, in italiano
guardie del corpo facenti capo a società private. Uomini armati di una polizia
privata avranno il compito di difendere il personale italiano composto da tecnici ed esperti, presenti a Nassiriya. Alla pagina 33
del decreto sul rifinanziamento delle missioni all'estero, approvato alla
Camera l'8 marzo e attualmente in commissione Difesa e
Esteri al Senato, si legge la notizia. Poche righe, sotto il titolo
"Sicurezza dell'Usr" - dove questa sigla sta ad indicare
"l'Unità di sostegno alla Ricostruzione" istituita
nel primo semestre 2006 nella regione irachena di Nassiriya - parlano
chiaro. Come pure sono inequivocabili quei
3.498.000,00 euro scritti in neretto accanto al testo. E
tuttavia sono sfuggiti a molti parlamentari che quel testo lo hanno approvato
alla Camera.
«Considerato che il contingente militare italiano, che
garantiva la sicurezza e l'incolumità del personale civile presente presso la Usr, non sarà più presente in Iraq nel corso del 2007 -
si legge nel testo - il Governo italiano ha la necessità di stipulare un
contratto con una società di sicurezza che già sia operante in Iraq con
personale locale. Ciò al fine di garantire l'incolumità dei civili presenti a
Nassiriya e di consentire loro di uscire dal perimetro della base militare
internazionale per monitorare i progetti ed incontrare le personalità locali in
un contesto di massima sicurezza».
Si chiama Aegis defence Services l'agenzia britannica
privata scelta dal governo per difendere i nostri tecnici in Iraq, anche se il
contratto con la Farnesina è ancora in via di definizione. Non si tratta di una
piccola società composta da pochi vigilantes locali,
ma di un colosso presente in Iraq dal 2004, dopo aver stipulato con il
ministero della Difesa statunitense un contratto da 293 milioni di dollari. Il
suo fondatore, Tim Spider, è stato coinvolto in abusi contro i diritti umani e
in violazioni internazionali.
I parlamentari della maggioranza, inclusi quelli della
"sinistra radicale" e pacifista, difendono, obtorto collo, la scelta
del governo. «Mi rendo conto che l'Italia avendo ritirato le truppe - dice Rosa
Calipari, senatrice dei Ds - deve pur trovare il modo di difendere i civili che
lavorano in Iraq dove il conflitto interreligioso è in via di peggioramento. In
termini generali e di principio - prosegue la senatrice - penso che il compito
di garantire la sicurezza dei propri cittadini sia dello Stato e sono contraria
alla privatizzazione della sicurezza. Negli anni
precedenti, sono stati utilizzati questi contractors ma per difendere società
petrolifere. Ora, invece, si tratta di guardie che difendono personale civile
che opera per fini umanitari».
Per Silvana Pisa, senatrice dei Ds, si poteva trovare
un'altra soluzione. «In qualsiasi ambasciata estera ci sono i
nostri carabinieri - spiega - anche nei paesi dove non ci sono le nostre truppe.
Si poteva, dunque, ritirare l'esercito dall'Iraq, mantenendo i carabinieri a
Nassiriya soltanto per proteggere i nostri tecnici. Ero contraria
all'esternalizzazione della sicurezza - conclude la
senatrice - e lo sono anche ora. Abbiamo peraltro votato questo testo senza che
venisse discusso tra i capigruppo».
Anche la vicepresidente della
Commissione Difesa Elettra Deiana del Prc, sta sulla posizione del "sì
ma". «Ci sono tecnici italiani che devono essere protetti a Nassiriya e la
polizia irachena non è in grado di farlo - dice - Non ho un pregiudizio
ideologico nell'assumere vigilantes privati ma sono
contraria ad assumere personale non controllabile. Non si conoscono le regole
alle quali queste persone devono sottostare e da chi sono controllati. Ho già
presentato un'interpellanza - conclude la parlamentare
di Rifondazione- per sapere cosa sta succedendo a Nassiriya e chiederò anche i
criteri con cui vengono scelti questi body guard».
Pino Sgobio capogruppo dei Comunisti italiani alla Camera,
non ha dubbi: «Tra un carabiniere e un body guard preferisco
che ci siano i body guard». «Avevamo chiesto il ritiro di
tutti i soldati, - dice il deputato dei Pdci - non potevamo lasciare a
Nassiriya i carabinieri. Sono dei militari e avrebbero
coinvolto di più il nostro Paese in azioni belliche. Si tratta di una
situazione di emergenza dove non è possibile fare
altrimenti. Spero almeno - conclude Sgobio - che la
Farnesina scelga tra società private che diano garanzie di controllo e
democraticità».
Fabio Alberti, presidente dell'Organizzazione Non
Governativa Un Ponte per, presente in Iraq da molti anni si dice meravigliato
che in Iraq, «ci sia ancora una presenza armata italiana a difesa dei
Provincial Reconstruction Team (Prt) che sono la parte civile dell'occupazione:
se noi ne facessimo parte saremmo sotto il comando Usa. Peraltro - spiega
Alberti - a dicembre il nostro personale civile a Nassiriya girava scortato dai
marines». Ma soprattutto chiede il presidente
dell'Ong: «Quali sono le regole d'ingaggio di questi eserciti privati? Chi li
controlla? E quale bisogno c'è di avere fisicamente
dei tecnici italiani sul posto?». «Per assistere gli iracheni alla
ricostruzione - conclude Alberti - basta assisterli
economicamente, nella progettazione e in tanti altri modi: l'Iraq è pieno di
tecnici bravi».